Allora vi ho detto dei problemi. Nel post di oggi una serie di accorgimenti per ridurne l'impatto. Nel prossimo capitolo un po' di strategie bastarde
P. deve fare domande realistiche.
Se non ha soluzioni ovvie ai problemi che ho elencato nel post precedente, e' inutile che P. faccia domanda nel dipartimento n.1 e ambisca a studiare con i premi nobel (chesso' diciamo a Harvard--e' solo un esempio, il dipartimento #1 cambia da campo a campo, e in filosofia non e' Harvard).
I dipartimenti nella top 5 si possono permettere il lusso di ignorare tutte le domande che appaiono meno che perfette. In questo modo, cercano di massimizzare le chances di ottenere gli studenti migliori.
Mi ricorda un po' un annuncio che lessi nella sezione "Dating" di Craigslist. C'era una tipa che elencava fra le qualita' necessarie per andare a un appuntamento con lei, che l'uomo guadagnasse piu' di $100000 l'anno. I dipartimenti top funzionano un po' cosi'.
D'altro canto, universita' con un ranking un po' piu' basso (in Filosofia questo accade particolarmente al di fuori della top 15) cercano i loro studenti in modo un po' piu' creativo. Sanno che, in molti casi, non possono ammettere gli studenti che sembrano migliori "on paper" e cercano di massimizzare la probabilita' di trovare gemme nascoste (ad esempio il nostro P.).
Per farvi un esempio, il dipartimento in cui sono ora, che e' assolutamente eccellente ma fuori dalla top 20, cerca studenti che siano o particolarmente motivati nelle aree di forza oppure studenti che per qualche ragione passano inosservati. Gli studenti stranieri sono un esempio della seconda categoria.
Il mio suggerimento dunque e' di fare un paio di domande ambiziose (top 5-top 10), qualche domanda di fascia intermedia (10-30) e un paio di domande di "riserva" (sotto al 30).
Questo e' un grosso errore che io feci all'epoca delle mie domande: feci domanda soltanto in dipartimenti nella top 5 + Berkeley (che era un po' piu' in basso). Non a caso, entrai solo a Berkeley.
Conviene che P. faccia domanda per dipartimenti in cui ci sono professori italiani.
Ovviamente non e' detto che il professore italiano finisca nel comitato di ammissione (il dipartimento di solito delega a un gruppetto di colleghi di lavorare alle ammissioni). Tuttavia, specie se il professore italiano e' nelle aree d'interesse di P. spesso vale la pena di far si' che venga contattato dal relatore di P oppure da P. stesso, se il relatore non se la sente.
P. deve cercare gli anglofili nella sua Universita'
Ogni dipartimento in Italia, ha un gruppetto sparuto di professori anglofili: quelli che vanno alle conferenze internazionali, pubblicano molto in Inglese. Se scrivete la tesi con uno di questi, le vostre chances aumentano significativamente, specie se il loro PhD viene da un'universita' straniera (in filosofia queste sono bestie rare: di solito, PhD da un'Universita' straniera significa carriera all'estero, ma nelle scienze ne esistono parecchi) e magari possono spiegarvi in dettaglio il processo.
Lavorare con gli anglofili contribuisce a risolvere il problema delle lettere, ma solo a condizione che P. si faccia spiegare dal suo professore anglofilo quali sono i suoi contatti internazionali principali.
Tesi all'estero.
Molte universita' danno una borsa di studio per trascorrere un periodo di studio all'estero per la tesi. E' un buon modo per farsi conoscere da qualche professore americano e magari ottenere una lettera.
L'errore piu' comune che gli studenti italiani fanno in queste circostanze e' di andare a studiare con i professori piu' famosi, quelli coi premi nobel, che fanno le lezioni magistrali davanti alla Regina d'inghilterra, e vengono invitati a ogni conferenza mondiale.
Questi sono: (a) i professori piu' impegnati (b) la loro mente e' spesso talmente cristallizata sulle idee a cui hanno lavorato per 40 anni che, a meno che non siate al lavoro sui loro progetti, avranno poca attenzione da dedicarvi (c) di solito sono in eta' avanzata e tendono ad essere un po' distanti dalle dinamiche attuali della professione accademica (d) devono scrivere talmente tante lettere e seguire talmente studenti che finiscono per scrivere lettere generiche e poco efficaci, specie per persone che hanno conosciuto per periodi relativamente brevi.
Cercate invece studiosi giovani ma relativamente affermati. E' difficile sapere in partenza chi siano, ma e' qui che il consiglio del vostro relatore esterofilo puo' venire utile.
[Ce ne sono altre, ma questo post e' gia' troppo lungo, al prossimo giro arrivano le strategie bastarde]
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Friday, February 05, 2010
Monday, February 01, 2010
Studiare in America (1)
Ogni tanto ricevo delle e-mail da studenti Italiani che vogliono studiare negli USA per un qualche titolo post-laurea. Ed e' da un po' che mi riprometto di scrivere un post per riassumere le mie idee in merito. Mi sono reso conto che sara' necessaria una serie di post (uhm, una serie di post che non interessano il lettore abituale... sara' mica una campagna pubblicitaria?).
Credo di avere qualcosa di interessante da dire, avendo visto il processo sia dall'esterno (da "applicant": questo e' un termine che si usa per chi fa domanda, e lo usero' nel post perche' non c'e' una parola italiana equivalente) che dall'interno (da membro del dipartimento) come funzionano le ammissioni al dottorato.
Purtroppo, non c'e' un metodo universale che garantisca o persino renda probabile l'ammissione. Quasi tutti gli studenti italiani che conosco hanno dei percorsi individuali del tutto particolari, da cui e' difficile trarre utili generalizzazioni (peraltro e' difficile trarre generalizzazioni da disciplina a disciplina).
Pero' posso spiegare cosa non fare, e indicare gli ostacoli principali a causa dei quali una buona parte delle domande risultano fallimentari. Consideriamo un applicant immaginario/a che chiameremo P.
Ipotizziamo che P. faccia domanda per un dottorato (che e' la domanda piu' difficile da vincere). Per oggi voglio soffermarmi soltanto sulle principali difficolta' che P. incontrera'. Nel prossimo "capitolo", indichero' alcuni accorgimenti che possono ridurne l'impatto.
I) I grandi numeri.
Il principale problema per P. e' che le probabilita' sono basse in partenza. In Filosofia (e non sto dunque parlando di qualche scienza fighetta, ma Filosofia!), il programma medio ammette 5-8 dottorandi l'anno tratti da una base di circa 300 domande. Ovviamente, ci sono programmi molto piu' grandi (matematica a Berkeley ammetteva circa 25 studenti l'anno, ma da una base ancora piu' grande, la business school di Northwestern ha un programma di dottorato che ammette 28 studenti l'anno da un base di 800 domande).
Le probabilita' sono dunque fra l'1 e il 3%, senza considerare se o meno P. parta svantaggiato.
II) P. parte svantaggiato.
In Filosofia si decide l'ammissione essenzialmente sulla base di tre fattori: i voti dello studente, le lettere di raccomandazione (scritte per lui/lei dai professori dell'universita' dove ha studiato), un paper di circa 20-25 pagine scritto dallo studente, e i test standardizzati (tipo GRE).
P. parte svantaggiato in ciascuno di questi fattori.
a) a meno di casi eccezionali (spiegati sotto), le lettere di P. sono scritte da gente ignota al comitato d'ammissione. Al contrario, gli studenti americani spesso hanno lettere scritte da colleghi la cui reputazione, e il cui posto nella professione, sono ben noti.
b) i voti sono espressi in un sistema che l'accademico americano non capisce (per fortuna i voti non contano moltissimo nel processo).
Inoltre, c'e' sempre un po' di paura che una sfilza di 30 e lode possa significare semplicemente che il sistema di valutazione e' molto inflazionato.
DIGRESSIONCINA: Di fatto, in tutto questo processo, ci sono degli enormi squilibri nella percezione degli studenti: uno studente di Harvard con una media di A- appare piu' attraente di uno studente di Bologna (dove io ho studiato) con una media del 30.
Io non so dirvi se questo favoritismo sia giustificato o meno. Come molti, ho trovato gente che aveva studiato a Stanford, Princeton etc. che non aveva il mio stesso livello di determinazione/preparazione (d'altra parte ho anche trovato gente che aveva lauree da quelle universita' e talento praticamente illimitato, come non avevo mai visto altrove). E' anche noto che, nel caso circoscritto e per lo piu' isolato delle scienze, la preparazione italiana e' spesso giudicata molto competitiva. Ma questo non significa che il favoritismo non sia, nel complesso, giustifcato.
Per fare un'analogia sportiva, a volte una societa' di serie A compra un giocatore, diciamo dalla serie A Uruguayana: non c'e' sicurezza che le qualita' mostrate nell'un contesto siano sufficienti a far bene nell'altro. E' utile immaginare le varie commissioni come impegnate da questo punto di vista.
c) P. non e' al corrente dei desiderata accademici nelle universita' anglofone e fa fatica a comporre un paper di 20-25 pagine che sia all'altezza (tutto questo astraendo da potenziali problemi linguistici).
Questo e' un grosso limite delle nostre universita' : in Italia, dipende dall'iniziativa dei singoli docenti se o meno imporre ai nostri studenti di imparare a scrivere testi argomentativi che cerchino di rispondere a un minimo standard accademico (la maggior parte delle tesine scritte nel corso di laurea in cui mi sono laureato conterebbero come plagi nella maggior parte delle universita' americane).
Il problema non si pone con tanta prepotenza nelle scienze perche' in quei casi c'e' molta meno enfasi sulla scrittura.
d) da ultimo, uno svantaggio piccolo che tuttavia esiste: test come il GRE danno un leggero vantaggio "culturale" a chi e' locale.
Nel prossimo post, cerchero' di spiegare cosa si puo' fare per ridurre l'impatto di questi problemi.
Credo di avere qualcosa di interessante da dire, avendo visto il processo sia dall'esterno (da "applicant": questo e' un termine che si usa per chi fa domanda, e lo usero' nel post perche' non c'e' una parola italiana equivalente) che dall'interno (da membro del dipartimento) come funzionano le ammissioni al dottorato.
Purtroppo, non c'e' un metodo universale che garantisca o persino renda probabile l'ammissione. Quasi tutti gli studenti italiani che conosco hanno dei percorsi individuali del tutto particolari, da cui e' difficile trarre utili generalizzazioni (peraltro e' difficile trarre generalizzazioni da disciplina a disciplina).
Pero' posso spiegare cosa non fare, e indicare gli ostacoli principali a causa dei quali una buona parte delle domande risultano fallimentari. Consideriamo un applicant immaginario/a che chiameremo P.
Ipotizziamo che P. faccia domanda per un dottorato (che e' la domanda piu' difficile da vincere). Per oggi voglio soffermarmi soltanto sulle principali difficolta' che P. incontrera'. Nel prossimo "capitolo", indichero' alcuni accorgimenti che possono ridurne l'impatto.
I) I grandi numeri.
Il principale problema per P. e' che le probabilita' sono basse in partenza. In Filosofia (e non sto dunque parlando di qualche scienza fighetta, ma Filosofia!), il programma medio ammette 5-8 dottorandi l'anno tratti da una base di circa 300 domande. Ovviamente, ci sono programmi molto piu' grandi (matematica a Berkeley ammetteva circa 25 studenti l'anno, ma da una base ancora piu' grande, la business school di Northwestern ha un programma di dottorato che ammette 28 studenti l'anno da un base di 800 domande).
Le probabilita' sono dunque fra l'1 e il 3%, senza considerare se o meno P. parta svantaggiato.
II) P. parte svantaggiato.
In Filosofia si decide l'ammissione essenzialmente sulla base di tre fattori: i voti dello studente, le lettere di raccomandazione (scritte per lui/lei dai professori dell'universita' dove ha studiato), un paper di circa 20-25 pagine scritto dallo studente, e i test standardizzati (tipo GRE).
P. parte svantaggiato in ciascuno di questi fattori.
a) a meno di casi eccezionali (spiegati sotto), le lettere di P. sono scritte da gente ignota al comitato d'ammissione. Al contrario, gli studenti americani spesso hanno lettere scritte da colleghi la cui reputazione, e il cui posto nella professione, sono ben noti.
b) i voti sono espressi in un sistema che l'accademico americano non capisce (per fortuna i voti non contano moltissimo nel processo).
Inoltre, c'e' sempre un po' di paura che una sfilza di 30 e lode possa significare semplicemente che il sistema di valutazione e' molto inflazionato.
DIGRESSIONCINA: Di fatto, in tutto questo processo, ci sono degli enormi squilibri nella percezione degli studenti: uno studente di Harvard con una media di A- appare piu' attraente di uno studente di Bologna (dove io ho studiato) con una media del 30.
Io non so dirvi se questo favoritismo sia giustificato o meno. Come molti, ho trovato gente che aveva studiato a Stanford, Princeton etc. che non aveva il mio stesso livello di determinazione/preparazione (d'altra parte ho anche trovato gente che aveva lauree da quelle universita' e talento praticamente illimitato, come non avevo mai visto altrove). E' anche noto che, nel caso circoscritto e per lo piu' isolato delle scienze, la preparazione italiana e' spesso giudicata molto competitiva. Ma questo non significa che il favoritismo non sia, nel complesso, giustifcato.
Per fare un'analogia sportiva, a volte una societa' di serie A compra un giocatore, diciamo dalla serie A Uruguayana: non c'e' sicurezza che le qualita' mostrate nell'un contesto siano sufficienti a far bene nell'altro. E' utile immaginare le varie commissioni come impegnate da questo punto di vista.
c) P. non e' al corrente dei desiderata accademici nelle universita' anglofone e fa fatica a comporre un paper di 20-25 pagine che sia all'altezza (tutto questo astraendo da potenziali problemi linguistici).
Questo e' un grosso limite delle nostre universita' : in Italia, dipende dall'iniziativa dei singoli docenti se o meno imporre ai nostri studenti di imparare a scrivere testi argomentativi che cerchino di rispondere a un minimo standard accademico (la maggior parte delle tesine scritte nel corso di laurea in cui mi sono laureato conterebbero come plagi nella maggior parte delle universita' americane).
Il problema non si pone con tanta prepotenza nelle scienze perche' in quei casi c'e' molta meno enfasi sulla scrittura.
d) da ultimo, uno svantaggio piccolo che tuttavia esiste: test come il GRE danno un leggero vantaggio "culturale" a chi e' locale.
Nel prossimo post, cerchero' di spiegare cosa si puo' fare per ridurre l'impatto di questi problemi.
Saturday, October 17, 2009
Chicago e la Cortina di Ferro
In California, come forse raccontai, la ditta dei traslochi mando' Luis e Pascual---due messicani, l'uno con la parlantina facile, l'altro ipermuscoloso e silenzioso.
A Chicago, mandarono Mr. Rivera [un personaggio alla Steve Buscemi, magro, con un senso dell'umorismo molto dark, e incazzatissimo perche' avevo poca roba e quindi sarebbe stato pagato per poche ore] e Drycwycz (nome inventato) maciste polacco che portava montagne di roba senza problemi.
Dopo Drycwycz, mi sono reso conto che Chicago e' abbondantemente popolata da ogni varieta' di est europei. C'e' una zona, anche piuttosto trendy, che si chiama Ukrainian Village, ma ci sono zone polacche, bulgare. Il mio landlord e' di origine Croata. Quando cercavo appartamenti, ho conosciuto un tale Marko, che possiede una serie di appartamenti in Lincoln Park (zona fighetta-yuppie appena a nord del centro). Oggi due tecnici sono venuti a cercare di installare DirectTV (peraltro senza successo): Attila (Ungherese), e Vitaly (Russo). (Scoperta: negli USA il nome Attila si pronuncia atTIla (con l'accento sulla I)).
E ovviamente, al di qua della cortina di ferro, ma pur sempre in zona d'influenza ortodossa, c'e' Greektown, che fra l'altro e' a due passi da casa mia.
A Chicago, mandarono Mr. Rivera [un personaggio alla Steve Buscemi, magro, con un senso dell'umorismo molto dark, e incazzatissimo perche' avevo poca roba e quindi sarebbe stato pagato per poche ore] e Drycwycz (nome inventato) maciste polacco che portava montagne di roba senza problemi.
Dopo Drycwycz, mi sono reso conto che Chicago e' abbondantemente popolata da ogni varieta' di est europei. C'e' una zona, anche piuttosto trendy, che si chiama Ukrainian Village, ma ci sono zone polacche, bulgare. Il mio landlord e' di origine Croata. Quando cercavo appartamenti, ho conosciuto un tale Marko, che possiede una serie di appartamenti in Lincoln Park (zona fighetta-yuppie appena a nord del centro). Oggi due tecnici sono venuti a cercare di installare DirectTV (peraltro senza successo): Attila (Ungherese), e Vitaly (Russo). (Scoperta: negli USA il nome Attila si pronuncia atTIla (con l'accento sulla I)).
E ovviamente, al di qua della cortina di ferro, ma pur sempre in zona d'influenza ortodossa, c'e' Greektown, che fra l'altro e' a due passi da casa mia.
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Friday, December 07, 2007
Il CID, questo sconosciuto.
Secondo Angeline, e davvero quasi non ci credo, il CID in California non esiste. Cioe' se fai un incidente O chiami la polizia per fare un report. Oppure ognuno fa il proprio rapporto all'assicurazione, e se divergono entrano in ballo i testimoni--fittizi o reali.
Ma che cavolo di sistema e'?
Ma che cavolo di sistema e'?
Saturday, November 24, 2007
Barbados-Grenada
Sto facendo, per puro divertimento, una ricerca personale sulle teorie "scientifiche" sul Calcio, e, per caso, mi sono imbattuto (su internet) in un aneddoto fenomenale.
Anni '90. Barbados e Grenada si affrontano in una partita che vale la qualificazione alla fase successiva di una Coppa-Caraibica-Senza-Alcuna-Importanza (CCSAI).
La CCSAI ha una regola particolare: i gol fatti nei tempi supplementari valgono doppio ai fini della differenza reti.
C'e' un'altra regola particolare. Ogni partita deve finire con la vittoria di una delle due squadre (si', la CCSAI ha delle regole del cavolo). In caso di pareggio, si va ai tempi supplementari.
Barbados ha bisogno di vincere di due gol per avanzare. Se vince di un gol, o se perde, passa Granada. Se pareggiano, supplementari.
Siamo nel secondo tempo. Barbados in vantaggio 2-0. Grenada segna il gol del 2-1. A questo punto Barbados lancia un'offensiva senza quartiere, ma invano.
Ma, avrete capito, poco prima del novantesimo minuto, Barbados segna un autogol intenzionale. 2-2. La prospettiva dei supplementari significa per Barbados tempo prezioso per segnare il gol "singolo".
A questo punto succede l'assurdo. Grenada passa il turno (i) se vince 3-2 oppure (ii) se perde 3-2. Con il 2-2 si va ai supplementari. E' cosi' che (per i minuti finali del tempo regolamentare) i giocatori di Granada giocano cercando di segnare nell'una porta o nell'altra. Mentre Barbados difende *entrambe* le porte.
Alla fine, sono andati ai supplementari e Barbados si e' qualificata con un gol singolo (che valeva doppio :) ).
O_O
Anni '90. Barbados e Grenada si affrontano in una partita che vale la qualificazione alla fase successiva di una Coppa-Caraibica-Senza-Alcuna-Importanza (CCSAI).
La CCSAI ha una regola particolare: i gol fatti nei tempi supplementari valgono doppio ai fini della differenza reti.
C'e' un'altra regola particolare. Ogni partita deve finire con la vittoria di una delle due squadre (si', la CCSAI ha delle regole del cavolo). In caso di pareggio, si va ai tempi supplementari.
Barbados ha bisogno di vincere di due gol per avanzare. Se vince di un gol, o se perde, passa Granada. Se pareggiano, supplementari.
Siamo nel secondo tempo. Barbados in vantaggio 2-0. Grenada segna il gol del 2-1. A questo punto Barbados lancia un'offensiva senza quartiere, ma invano.
Ma, avrete capito, poco prima del novantesimo minuto, Barbados segna un autogol intenzionale. 2-2. La prospettiva dei supplementari significa per Barbados tempo prezioso per segnare il gol "singolo".
A questo punto succede l'assurdo. Grenada passa il turno (i) se vince 3-2 oppure (ii) se perde 3-2. Con il 2-2 si va ai supplementari. E' cosi' che (per i minuti finali del tempo regolamentare) i giocatori di Granada giocano cercando di segnare nell'una porta o nell'altra. Mentre Barbados difende *entrambe* le porte.
Alla fine, sono andati ai supplementari e Barbados si e' qualificata con un gol singolo (che valeva doppio :) ).
O_O
Friday, November 23, 2007
L'antiringraziamento.
Il giorno del ringraziamento , di solito, lo si passa con le famiglie. Ma la mia e' a Roma (per caso si festeggiava anche a casa mia--il compleanno di mio fratello). Quella di Angeline a San Diego, e quest'anno non ce l'abbiamo fatta a raccogliere energie sufficienti a motivare il viaggio.
Abbiamo ricevuto due inviti per passare il thanksgiving in compagnia, ma, senza una ragione particolare, mi sono convinto di poter organizzare un party migliore.
Alla fine Martedi' mi sono reso conto di avere concepito una cena un po' stravagante (ma interessante), ma anche di essermi dimenticato di invitare gli ospiti. Gli unici amici che sapevo essere non impegnati sono vegetariani (li ho invitati per il dessert, ma il pasto era intensamente carnivoro).
Alla fine, ho semplicemente convinto Angeline ad organizzare un thanksgiving a due.
La cena, dicevo, e' stata un po' stravagante. Invece che Tacchino, abbiamo fatto un arrosto di Maiale (che e' meglio), condito da patate al gratin e dessert. (Non abbiamo fatto altro, che' altrimenti in due si rischiava di avere avanzi sufficienti fino a Natale).
Nel complesso, un thanksgiving anomalo ma di successo.
Abbiamo ricevuto due inviti per passare il thanksgiving in compagnia, ma, senza una ragione particolare, mi sono convinto di poter organizzare un party migliore.
Alla fine Martedi' mi sono reso conto di avere concepito una cena un po' stravagante (ma interessante), ma anche di essermi dimenticato di invitare gli ospiti. Gli unici amici che sapevo essere non impegnati sono vegetariani (li ho invitati per il dessert, ma il pasto era intensamente carnivoro).
Alla fine, ho semplicemente convinto Angeline ad organizzare un thanksgiving a due.
La cena, dicevo, e' stata un po' stravagante. Invece che Tacchino, abbiamo fatto un arrosto di Maiale (che e' meglio), condito da patate al gratin e dessert. (Non abbiamo fatto altro, che' altrimenti in due si rischiava di avere avanzi sufficienti fino a Natale).
Nel complesso, un thanksgiving anomalo ma di successo.
Monday, November 12, 2007
Contraddizioni.
Qualche tempo fa, nonsisamai ha scritto un post molto carino su alcune differenze fra noi e gli americani--cosi' carino che se ve lo racconto ve lo andate a leggere e abbandonate questo post alla riga 3.
Con lo stesso spirito, voglio raccontarvi delle nuove lampadine: compact fluorescent light bulbs. (wikipedia)
Apparentemente, queste lampadine fluorescenti risparmiano molta energia. Molta energia. Fatto sta che, di questi tempi, alle lampadine fluorescenti si fa una pubblicita' estenuante. In televisione c'e' una pubblicita' che spiega che sono piu' affidabili e piu' ecologiche delle lampadine vecchio stampo. Alla radio una pubblicita' che dice che se ogni americano monta una lampadina ecologica, il risparmio energetico equivale all'eliminazione di un gozziliardo di automobili. Infine, la Pacific Gas & Electric (la compagnia privata che ha il monopolio dell'elettricita' nella Bay Area) fa offerte come questa: dieci lampadine al prezzo di 1.50$. In altre parole, 15c alla lampadina. Il tutto in nome del risparmio energetico.
Ora, a me sta bene, e dell'offertona 1.50$ x 10 lampadine ho immediatamente tratto vantaggio. Ma c'e' una contraddizione bizzarra fra lo spingere una nuova lampadina da una parte, e il pazzesco consumo di energia per cui gli Americani sono famosi. Non ho visto una singola pubblicita' che sottolinei che l'acquisto di SUV e', per molti, una scelta irresponsabile, oppure che una sola famiglia non ha bisogno di due frigoriferi, e via dicendo...
Non e' che io sia chissa' che ambientalista. Ma c'e' qualcosa, in tutto questo, che mi sembra incoerente.
Con lo stesso spirito, voglio raccontarvi delle nuove lampadine: compact fluorescent light bulbs. (wikipedia)
Apparentemente, queste lampadine fluorescenti risparmiano molta energia. Molta energia. Fatto sta che, di questi tempi, alle lampadine fluorescenti si fa una pubblicita' estenuante. In televisione c'e' una pubblicita' che spiega che sono piu' affidabili e piu' ecologiche delle lampadine vecchio stampo. Alla radio una pubblicita' che dice che se ogni americano monta una lampadina ecologica, il risparmio energetico equivale all'eliminazione di un gozziliardo di automobili. Infine, la Pacific Gas & Electric (la compagnia privata che ha il monopolio dell'elettricita' nella Bay Area) fa offerte come questa: dieci lampadine al prezzo di 1.50$. In altre parole, 15c alla lampadina. Il tutto in nome del risparmio energetico.
Ora, a me sta bene, e dell'offertona 1.50$ x 10 lampadine ho immediatamente tratto vantaggio. Ma c'e' una contraddizione bizzarra fra lo spingere una nuova lampadina da una parte, e il pazzesco consumo di energia per cui gli Americani sono famosi. Non ho visto una singola pubblicita' che sottolinei che l'acquisto di SUV e', per molti, una scelta irresponsabile, oppure che una sola famiglia non ha bisogno di due frigoriferi, e via dicendo...
Non e' che io sia chissa' che ambientalista. Ma c'e' qualcosa, in tutto questo, che mi sembra incoerente.
Insonnia
Se volete un consiglio su come diventare insonni, la risposta e' fate sport al di sopra delle vostre possibilita'.
Non essendo riuscito a iscrivere la mia squadra al torneo di Berkeley, questo semestre gioco a calcio con della gente che ho conosciuto per caso.
Giochiamo Sabato E Domenica, per circa 2:15-2:30. I miei partner calcistici sono, fra le altre cose, fra i migliori giocatori che ho trovato qui (almeno, i migliori fra quelli che non appartengono completamente a un'altra categoria).
Oggi, galvanizzato da una delle mie migliori prestazioni, ho giocato fino a che avevo fiato.
Risultato: sono le 2:30 di notte e sono in completo trip da acido lattico.
Non essendo riuscito a iscrivere la mia squadra al torneo di Berkeley, questo semestre gioco a calcio con della gente che ho conosciuto per caso.
Giochiamo Sabato E Domenica, per circa 2:15-2:30. I miei partner calcistici sono, fra le altre cose, fra i migliori giocatori che ho trovato qui (almeno, i migliori fra quelli che non appartengono completamente a un'altra categoria).
Oggi, galvanizzato da una delle mie migliori prestazioni, ho giocato fino a che avevo fiato.
Risultato: sono le 2:30 di notte e sono in completo trip da acido lattico.
Monday, October 29, 2007
La mia stupefacente moralita'.

__________________________________
Da ieri, una coppia di miei amici, chiamiamoli J & K, non e' piu' tale (i.e. si sono lasciati). Per via di un'intricata catena di eventi sono venuto a saperlo quasi subito. Purtroppo, non credo di poterlo raccontare a nessuno. Cosi' stamattina Josh & Aparna, i miei vicini di casa/colleghi (nonche' anch'essi amici di J e K), sono venuti a casa mia a vedere Liverpool - Arsenal (1-1). E io per i maledetti novanta minuti piu' quindici d'intervallo ho stoicamente preservato il segreto altrui. Phew, ho bisogno di qualche complimento.
Cambiando storia, ma non argomento. Qualche settimana fa, uscendo dal nostro intricatissimo parcheggio, ho fatto un piccolo graffio ad una delle macchine vicine. Un graffio tanto piccolo che lo si vede solo da vicino. La proprietaria non l'avrebbe neanche notato. Eppure in preda al senso di colpa, e incazzato come una biscia con me stesso, lasciai un biglietto. "Scusa, ho graffiato il tuo sportello posteriore, blah blah blah, Questo e' il mio cell. chiamami se decidi di sistemarlo cosi' che possa rimborsarti". Avrei voluto aggiungere: "Certo non e' che sia proprio felice di pagare 200$ (o piu') per sistemare un graffietto, quindi, se puoi evitare...", ma la decenza mi ha trattenuto. Per arrivare al succo, la proprietaria non mi ha neanche chiamato (concordando, in effetti, con l'osservazione che avrei voluto aggiungere e non ho aggiunto). Good Karma. Per me che mi son tolto il peso dalla coscienza, per lei che non mi ha separato dagli adorati verdoni (come li chiamava Zio Paperone) senza valida ragione. Pero' il Karma positivo (o qualunque sia il suo equivalente materialistico) non puo' fermarsi qui. Con Angeline, abbiamo deciso di donare una parte dei soldi che avremmo speso ad una qualche organizzazione. La domanda, per voi, e' : quale?
Wednesday, October 24, 2007
Altre bizzarrie.
DISCLAIMER: Nessuno del mio circolo di amici Italiani si e' sposato, quindi non so se questa e' una peculiarita' americana o una cosa che ha preso piede anche in Europa.
L'usanza di tirare il riso agli sposi non e' piu' tale, almeno in america. Si e' scoperto (?... forse lo si e' sempre saputo e se ne e' presa coscienza solo ora) che il riso crudo (...forse in combinazione con l'acqua) e' letale per piccioni e colombe (e ora: la potenziale morte di piccioni e colombe non mi scuote affatto, ma vederli morti per strada non e' proprio un piacere!).
Ho sentito che alcuni al posto del riso tirano il mangime per uccelli. aaaaargh! Ecco un caso in cui una mentalita' PC fa danni!
L'usanza di tirare il riso agli sposi non e' piu' tale, almeno in america. Si e' scoperto (?... forse lo si e' sempre saputo e se ne e' presa coscienza solo ora) che il riso crudo (...forse in combinazione con l'acqua) e' letale per piccioni e colombe (e ora: la potenziale morte di piccioni e colombe non mi scuote affatto, ma vederli morti per strada non e' proprio un piacere!).
Ho sentito che alcuni al posto del riso tirano il mangime per uccelli. aaaaargh! Ecco un caso in cui una mentalita' PC fa danni!
Wednesday, October 17, 2007
East Bay
Un paio di settimane fa ero a un party nella Mission a SF--un backyard party, zeppo di software engineers (che a SF sono ovunque) e filosofi (che fra i miei amici sono ovunque :) ). Comunque, Angeline ha intrapreso una conversazione con una ragazza (la chiameremo T) trasferitasi a SF da New York da circa 6 mesi.
T: "Dove abiti?"
A: "A Lake Merritt."
T: "E dov'e' ?"
A: "A Oakland."
T: (con una punta di sdegno) "Ah, ma vale la pena di andare nella East Bay?"
Il fatto che la tipa in questione si sia fatta 6 mesi a SF senza *mai* attraversare il ponte (da casa mia alla zona del party sono 13 miglia, circa 20 Km, ampiamente servite da trasporto pubblico) e' davvero bizarro.
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Anzi, mi ricorda un personaggio in Sex & the City che, in un appuntamento con Miranda, spiega, tutto fiero, di non aver mai lasciato Manhattan in vita sua (Miranda non la prende troppo bene...).
Ciononostante, la domanda di T. e' perfettamente legittima. Come il Canada, la East Bay ha un'identita' definita principalmente da cio' che non e'. Non e' San Francisco.
Eppure, a pensarci bene, una qualche risposta la si trova...
T: "Dove abiti?"
A: "A Lake Merritt."
T: "E dov'e' ?"
A: "A Oakland."
T: (con una punta di sdegno) "Ah, ma vale la pena di andare nella East Bay?"
Il fatto che la tipa in questione si sia fatta 6 mesi a SF senza *mai* attraversare il ponte (da casa mia alla zona del party sono 13 miglia, circa 20 Km, ampiamente servite da trasporto pubblico) e' davvero bizarro.
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Anzi, mi ricorda un personaggio in Sex & the City che, in un appuntamento con Miranda, spiega, tutto fiero, di non aver mai lasciato Manhattan in vita sua (Miranda non la prende troppo bene...).
Ciononostante, la domanda di T. e' perfettamente legittima. Come il Canada, la East Bay ha un'identita' definita principalmente da cio' che non e'. Non e' San Francisco.
Eppure, a pensarci bene, una qualche risposta la si trova...
Tuesday, October 02, 2007
Opera at the Ballpark
Per ora non ho avuto tempo di fare il giro dei cinema Art Deco.
In compenso, lo scorso week-end, ho avuto modo di vedere il sindaco playboy di San Francisco fare un'apparizione un po' imbarazzante. Angeline, Mike, Jessica ed io siamo andati ad un evento un po' bizarro. L'opera di San Francisco ha organizzato una proiezione gratuita e in diretta di "Sansone e Dalila" di Saint-Saens (la dieresi immaginatevela) allo stadio del Baseball.
Il background e' che da quest'anno i SF Giants hanno aggiunto un tocco di classe al loro gia' splendido stadio: un maxischermo ad alta definizione di circa 30 metri x 10 di dimensione. Finita (miseramente) la stagione del baseball, l'Opera e il Comune si sono dati da fare per usare lo stadio.
Un breve commento sull'evento: l'idea e' carina, ancorche' bizarra. Si sono presentate circa 15.000 persone--chi piu' interessato all'opera (il sottoscritto!!!) chi meno (i vari bambini che camminavano per il prato dello stadio). L'audio non era proprio perfetto, ma ho ricavato da questa cosa tre biglietti scontati (50%) per questa stagione, il che ovviamente fa molto piacere.
Comunque, tornando al sindaco playboy, lo hanno intervistato nei preliminari. Un po' pieno di se', e forse troppo preso dal tentativo di eccitare i presenti, sbraitava cose come: "E' la prima volta che l'opera viene portata allo stadio in diretta, e questo poteva succedere solo a San Francisco, dove la cultura si fonde con l'high tech." E vabbe', demagogico, ma ci posso stare.
Fra parentesi, la diretta dell'opera a fini promozionali non e' un'innovazione di San Francisco. In ambienti piu' piccoli e', direi, consueta. A quanto pare la fanno pure a Houston che quanto a raffinatezza non e' proprio il top (l'aeroporto si chiama "George Bush Intercontinental Airport" e contiene una graziosa statua di Bush padre). Addirittura in un cinema vicino casa mia fanno delle (quasi)dirette della Metropolitan Opera di New York. La novita' "San Franciscana" e' la vastita' dell'evento.
Insomma a concludere la tirata demagogica il sindaco ha raggelato i 15000: "Beccati questa New York, beccati questa Chicago, l'Opera allo Stadio voi non ce l'avete...". Ma, dico, ma che credi che ho tre anni? Eppoi, sei il Sindaco, cavolo, un po' di contegno.
P.S. Ho scoperto che l'opera di San Francisco e' stata fondata da un Italiano, Gaetano Merola (da Napoli). Ale'.
In compenso, lo scorso week-end, ho avuto modo di vedere il sindaco playboy di San Francisco fare un'apparizione un po' imbarazzante. Angeline, Mike, Jessica ed io siamo andati ad un evento un po' bizarro. L'opera di San Francisco ha organizzato una proiezione gratuita e in diretta di "Sansone e Dalila" di Saint-Saens (la dieresi immaginatevela) allo stadio del Baseball.
Il background e' che da quest'anno i SF Giants hanno aggiunto un tocco di classe al loro gia' splendido stadio: un maxischermo ad alta definizione di circa 30 metri x 10 di dimensione. Finita (miseramente) la stagione del baseball, l'Opera e il Comune si sono dati da fare per usare lo stadio.
Un breve commento sull'evento: l'idea e' carina, ancorche' bizarra. Si sono presentate circa 15.000 persone--chi piu' interessato all'opera (il sottoscritto!!!) chi meno (i vari bambini che camminavano per il prato dello stadio). L'audio non era proprio perfetto, ma ho ricavato da questa cosa tre biglietti scontati (50%) per questa stagione, il che ovviamente fa molto piacere.
Comunque, tornando al sindaco playboy, lo hanno intervistato nei preliminari. Un po' pieno di se', e forse troppo preso dal tentativo di eccitare i presenti, sbraitava cose come: "E' la prima volta che l'opera viene portata allo stadio in diretta, e questo poteva succedere solo a San Francisco, dove la cultura si fonde con l'high tech." E vabbe', demagogico, ma ci posso stare.
Fra parentesi, la diretta dell'opera a fini promozionali non e' un'innovazione di San Francisco. In ambienti piu' piccoli e', direi, consueta. A quanto pare la fanno pure a Houston che quanto a raffinatezza non e' proprio il top (l'aeroporto si chiama "George Bush Intercontinental Airport" e contiene una graziosa statua di Bush padre). Addirittura in un cinema vicino casa mia fanno delle (quasi)dirette della Metropolitan Opera di New York. La novita' "San Franciscana" e' la vastita' dell'evento.
Insomma a concludere la tirata demagogica il sindaco ha raggelato i 15000: "Beccati questa New York, beccati questa Chicago, l'Opera allo Stadio voi non ce l'avete...". Ma, dico, ma che credi che ho tre anni? Eppoi, sei il Sindaco, cavolo, un po' di contegno.
P.S. Ho scoperto che l'opera di San Francisco e' stata fondata da un Italiano, Gaetano Merola (da Napoli). Ale'.
Thursday, September 27, 2007
The War
Se dovessi scegliere a scatola chiusa fra un documentario sulla seconda guerra mondiale, una gara di Formula 1, o il tagliarmi le vene, penso sceglierei la terza.
E' con questo spirito che ho guardato alcuni episodi di "The War"--un mega-documentario sulla Seconda Guerra Mondiale che viene programmato in questi giorni dalla televisione pubblica americana (PBS: Public Broadcasting System, l'unico canale non a pagamento che non ha pubblicita').
Contrariamente alle mie aspettative, "The War" spacca.
Sara' che sono vittima della propaganda (discreta ma capillare) che gli viene fatta, ma si tratta di un lavoro eccezionale. Ci sono alcune ragioni "morali" per apprezzarlo--in particolare il lavoro non esprime l'irritante nazionalismo Yankee. Aldila' di queste, sto cercando di guardarlo il piu' possibile per via dell'originalita' della narrativa e delle immagini.
Comunque il film mi ha fatto pensare che c'e' un aspetto degli USA che potrebbe essere poco noto ad alcuni dei lettori meno familiari con la cultura Americana. Molte citta' americane contengono uno o piu' cinema in stile Art Deco. Sono gli stessi cinema in cui, all'epoca della guerra, facevano vedere i notiziari e sono bellissimi, sia all'interno che fuori. Ho deciso comunque che, nei prossimi giorni, faro' un piccolo "blitz fotografico" per trasmetterne l'estetica in modo un po' piu' vivido.
E' con questo spirito che ho guardato alcuni episodi di "The War"--un mega-documentario sulla Seconda Guerra Mondiale che viene programmato in questi giorni dalla televisione pubblica americana (PBS: Public Broadcasting System, l'unico canale non a pagamento che non ha pubblicita').
Contrariamente alle mie aspettative, "The War" spacca.
Sara' che sono vittima della propaganda (discreta ma capillare) che gli viene fatta, ma si tratta di un lavoro eccezionale. Ci sono alcune ragioni "morali" per apprezzarlo--in particolare il lavoro non esprime l'irritante nazionalismo Yankee. Aldila' di queste, sto cercando di guardarlo il piu' possibile per via dell'originalita' della narrativa e delle immagini.
Comunque il film mi ha fatto pensare che c'e' un aspetto degli USA che potrebbe essere poco noto ad alcuni dei lettori meno familiari con la cultura Americana. Molte citta' americane contengono uno o piu' cinema in stile Art Deco. Sono gli stessi cinema in cui, all'epoca della guerra, facevano vedere i notiziari e sono bellissimi, sia all'interno che fuori. Ho deciso comunque che, nei prossimi giorni, faro' un piccolo "blitz fotografico" per trasmetterne l'estetica in modo un po' piu' vivido.
Monday, September 24, 2007
L'idea del Secolo
Non so se questa cosa e' arrivata in Italia, ma c'e' una parlamentare tedesca che difende una posizione stravagante ma interessante: l'idea e' di considerare i matrimoni come un contratto a termine (La durata che lei suggerisce sono sette anni). Il contratto ovviamente e' rinnovabile, con il consenso dei partner:
L'articolo da yahoo-news.
La tipa in questione (il suo nome e' Gabriele Pauli) viene descritta dall'articolo come una "flame hair motorcyclist" (una motociclista dai capelli rossi). Nonostante tutto, Ms Pauli e' membro di una sezione del partito Cristiano-Democratico Tedesco--che (sorpresa, sorpresa!) non e' stato troppo contento dell'esternazione.
Secondo alcuni, l'idea stessa di un matrimonio a termine e' contradditoria, e quindi da respingere. Tuttavia, secondo me, questo e' il tipo di argomentazione sbagliata.
Non voglio dire (a dispetto del titolo) che l'idea di Ms. Pauli vada necessariamente implementata. Ma che la base su cui questo tipo di decisioni andrebbero prese e' molto piu' "empirica" di quanto i media non lasciano supporre. Un ragionamento a-prioristico sul contenuto del termine "matrimonio" secondo me ha valure nullo. Ad esempio, vorrei avere uno studio dei possibili effetti psicologici connessi a questo tipo di cambiamento della struttura del contratto, uno studio sui possibili vantaggi e svantaggi pratici della cosa se implementata su scala nazionale, etc.. Ammetto che e' una concezione un po' stile "consulting society" della politica (e forse per questo non regge) pero' mi sembra avere il vantaggio di essere compatibile con quasi tutti i punti di vista e permettere, entro certi limiti un po' di discussione...
L'articolo da yahoo-news.
La tipa in questione (il suo nome e' Gabriele Pauli) viene descritta dall'articolo come una "flame hair motorcyclist" (una motociclista dai capelli rossi). Nonostante tutto, Ms Pauli e' membro di una sezione del partito Cristiano-Democratico Tedesco--che (sorpresa, sorpresa!) non e' stato troppo contento dell'esternazione.
Secondo alcuni, l'idea stessa di un matrimonio a termine e' contradditoria, e quindi da respingere. Tuttavia, secondo me, questo e' il tipo di argomentazione sbagliata.
Non voglio dire (a dispetto del titolo) che l'idea di Ms. Pauli vada necessariamente implementata. Ma che la base su cui questo tipo di decisioni andrebbero prese e' molto piu' "empirica" di quanto i media non lasciano supporre. Un ragionamento a-prioristico sul contenuto del termine "matrimonio" secondo me ha valure nullo. Ad esempio, vorrei avere uno studio dei possibili effetti psicologici connessi a questo tipo di cambiamento della struttura del contratto, uno studio sui possibili vantaggi e svantaggi pratici della cosa se implementata su scala nazionale, etc.. Ammetto che e' una concezione un po' stile "consulting society" della politica (e forse per questo non regge) pero' mi sembra avere il vantaggio di essere compatibile con quasi tutti i punti di vista e permettere, entro certi limiti un po' di discussione...
Monday, September 17, 2007
Socializzazione
Quando sei a scuola, cercano sempre di trasmetterti valori (di qualche tipo) con mezzi assolutamente bizzarri. Apprendo, tramite il solito New Yorker, che la New York University (NYU) ha dato il suo contributo a questa galleria di orrori organizzando un seminario per i propri studenti del primo anno ( i "freshmen") dedicato all'interazione sociale in prima persona.
L'idea non suona neanche pessima, ma la premessa e' che, secondo loro, per gli studenti del primo anno di NYU "fare amicizia" significa cliccare il bottone "Add Friends" di Facebook. Il seminario (o almeno cosi' sembra, leggendo il New Yorker) e' investito dalla missione di sradicare l'ossessione Facebook, o almeno far capire che vi sono altre modalita' d'interazione sociale--per esempio, sorridere e presentarsi o intrattenere brevi conversazioni.
Data la mia esperienza di contatto con gli undergraduates a UC Berkeley mi sembra che:
i) la premessa del seminario sia completamente ridicola. E' vero che tutti gli undergraduates sono su facebook, ma, fatta eccezione per il "weirdo" di turno, non vedo questa gran differenza.
ii) ma anche concedendo questa premessa, ma davvero quelli di NYU pensano di poter *insegnare* la socievolezza ?
In realta', questa e' una sfaccettatura negativa di un aspetto dell'universita' Americana che trovo assolutamente positivo. A UC Berkeley provano a insegnare di tutto. Ci sono gozziliardi di seminari su come scrivere una presentazione, come insegnare, come reagire allo choc culturale, e via dicendo. Non tutti sono all'altezza, ma apprezzo il tentativo, e ogni tanto me ne torno al lavoro avendo effettivamente imparato qualcosa di nuovo.
Speriamo che facciano il seminario per smettere di mangiarsi le unghie.
Cambiando argomento: come avrete notato negli ultimi giorni sto giocando un po' con il template del blog. Anche perche' google ha reso l'interfaccia piu' flessibile e interessante. Comunque in fondo alla lista dei link ci sono alcuni video: cerchero' di aggiungerne altri nel futuro immediato ma ce n'e' uno che volevo assolutamente sottolineare.
I Fumisterie (che per chi non li conoscesse sono uno dei gruppi di rock di punta della scena Romana--e forse i miei preferiti) hanno fatto un video per la loro canzone "Warning". Il video e' su Youtube in tutto il suo splendore. Check it Out!
L'idea non suona neanche pessima, ma la premessa e' che, secondo loro, per gli studenti del primo anno di NYU "fare amicizia" significa cliccare il bottone "Add Friends" di Facebook. Il seminario (o almeno cosi' sembra, leggendo il New Yorker) e' investito dalla missione di sradicare l'ossessione Facebook, o almeno far capire che vi sono altre modalita' d'interazione sociale--per esempio, sorridere e presentarsi o intrattenere brevi conversazioni.
Data la mia esperienza di contatto con gli undergraduates a UC Berkeley mi sembra che:
i) la premessa del seminario sia completamente ridicola. E' vero che tutti gli undergraduates sono su facebook, ma, fatta eccezione per il "weirdo" di turno, non vedo questa gran differenza.
ii) ma anche concedendo questa premessa, ma davvero quelli di NYU pensano di poter *insegnare* la socievolezza ?
In realta', questa e' una sfaccettatura negativa di un aspetto dell'universita' Americana che trovo assolutamente positivo. A UC Berkeley provano a insegnare di tutto. Ci sono gozziliardi di seminari su come scrivere una presentazione, come insegnare, come reagire allo choc culturale, e via dicendo. Non tutti sono all'altezza, ma apprezzo il tentativo, e ogni tanto me ne torno al lavoro avendo effettivamente imparato qualcosa di nuovo.
Speriamo che facciano il seminario per smettere di mangiarsi le unghie.
Cambiando argomento: come avrete notato negli ultimi giorni sto giocando un po' con il template del blog. Anche perche' google ha reso l'interfaccia piu' flessibile e interessante. Comunque in fondo alla lista dei link ci sono alcuni video: cerchero' di aggiungerne altri nel futuro immediato ma ce n'e' uno che volevo assolutamente sottolineare.
I Fumisterie (che per chi non li conoscesse sono uno dei gruppi di rock di punta della scena Romana--e forse i miei preferiti) hanno fatto un video per la loro canzone "Warning". Il video e' su Youtube in tutto il suo splendore. Check it Out!
Sunday, September 02, 2007
A proposito di un'espressione.
Volevo intitolare questo post "We Are Pregnant", prima di rendermi conto che avrebbe fuorviato qualche lettore.
E' da qualche giorno che voglio scrivere qualcosa sulla frase":
(1) "We Are Pregnant" (tr. "Noi siamo incinte" ???)
E' ormai diventato comune usare l'espressione "being pregnant" in costruzioni plurali, come in (1). Per esempio il mio amico I.S. qualche giorno fa ha annunciato:
(2) "A.S. and I are pregnant".
il plurale in (1) e (2) e' il cosiddetto plurale non-distributivo, si applica *soltanto * al gruppo---in questo caso alla coppia.
A chi usa questa locuzione la frase:
(3) "Mary is pregnant"
non piace, perche' da' una rappresentazione errata della ripartizione dei doveri nei confronti del nascituro (come se la responsabilita' di portare a termine la gravidanza, e forse di crescere il bambino, ricadesse solo sulle spalle della donna). In altre parole, la costruzione plurale di "being pregnant" e' una frontiera a me sconosciuta (fino a qualche mese fa) del Politically Correct.
Sono completamente d'accordo con la motivazione, ma l'implementazione mi sembra completamente assurda. Se il punto e' evitare la costruzione singolare "is pregnant", non sarebbe meglio evitare del tutto il riferimento a una condizione fisica della donna (in questo modo evitando una parola sgradevole come "pregnant"?)--usando piuttosto altre espressioni come "We are expecting a baby" (che mi sembra analogo all'uso corrente in Italiano).
E' da qualche giorno che voglio scrivere qualcosa sulla frase":
(1) "We Are Pregnant" (tr. "Noi siamo incinte" ???)
E' ormai diventato comune usare l'espressione "being pregnant" in costruzioni plurali, come in (1). Per esempio il mio amico I.S. qualche giorno fa ha annunciato:
(2) "A.S. and I are pregnant".
il plurale in (1) e (2) e' il cosiddetto plurale non-distributivo, si applica *soltanto * al gruppo---in questo caso alla coppia.
A chi usa questa locuzione la frase:
(3) "Mary is pregnant"
non piace, perche' da' una rappresentazione errata della ripartizione dei doveri nei confronti del nascituro (come se la responsabilita' di portare a termine la gravidanza, e forse di crescere il bambino, ricadesse solo sulle spalle della donna). In altre parole, la costruzione plurale di "being pregnant" e' una frontiera a me sconosciuta (fino a qualche mese fa) del Politically Correct.
Sono completamente d'accordo con la motivazione, ma l'implementazione mi sembra completamente assurda. Se il punto e' evitare la costruzione singolare "is pregnant", non sarebbe meglio evitare del tutto il riferimento a una condizione fisica della donna (in questo modo evitando una parola sgradevole come "pregnant"?)--usando piuttosto altre espressioni come "We are expecting a baby" (che mi sembra analogo all'uso corrente in Italiano).
Thursday, August 30, 2007
Azione!
La vita nella Bay Area e' cominciata cosi' com'era finita. Sono giornate frenetiche. I Genitori in visita, il semestre che ricomincia e via dicendo. Ho un nuovo, splendido ufficio, con un'ampia terazza. Mi lasciano davvero senza scuse: devo scrivere la mia dissertazione.
Domenica, appena arrivato da LAX, sono andato subito a cena con il Circo Italiano (Parents e i loro amici). Siamo stati al Cafe' della Presse--un ristorante francese nel centro di San Francisco. A me piace molto, ma non e' la migliore scelta quando sei con un gruppo di 9 persone dei quali solo una sparuta minoranza (cit. Lotito) parla Inglese. Se mai vi capita un date a San Francisco (e siete nella posizione di scegliere) Cafe' della Presse e' un buon posto.
Ad ogni modo, ieri sera, prima di addormentarmi, ho letto nel New Yorker che, a partire dagli anni '90, ci sono stati scandali in sequenza circa l'Olio Extra Vergine d'Oliva. Il problema, stando all'articolo, e' che molti dei produttori principali (quelli che poi vendono l'olio alle grandi marche) immettono nella miscela del proprio olio, olii di qualita' inferiore. Addirittura, viene citato un produttore secondo il quale il 90% dell'olio che viene venduto come Extra-Vergine d'Oliva in realta' non e' tale.
Ora, io mi chiedo, perche' ci interessa non essere fregati? Ragioni di salute, in primis. E' possibile che l'olio adulterato sia dannoso, e questo e' un problema. Ma supponiamo, in astratto, che sia dimostrato che olio puro ed olio adulterato in certi modi hanno il medesimo effetto sulla salute. A cosa serve il sistema di etichette di olii, vini, formaggi etc.? Serve, io credo, per compiere certe inferenze induttive: per esempio,
Olio X ed Olio Y sono entrambi extra-vergini. Quindi dovrebbero essere (con una certa approssimazione) di simile qualita'.
Questa funzione viene assolta ugualmente anche se i controlli della qualita' dell'olio non raggiungono gli standard di qualita' ufficiali. Se lo standard ufficiale dell'olio extra-vergine e' 8/10 (supponiamo che vi sia una scala lineare), e i controlli riescono soltanto a testare che l'olio ha qualita' almeno 6/10, questo significa che *in pratica* l'etichetta "Olio Extra-Vergine" significa: almeno 6/10. L'etichetta continua ad essere utile, perche' presumibilmente l'Olio Vergine ha qualita' ufficiale 5/10, ma viene testato solo fino a 3/10.
Se necessario, i produttori che producono a 8/10 possono accordarsi su un sistema di controllo privatamente eseguito che garantisca quella qualita' a un maggior prezzo.
Ok. mi sono stancato di scrivere, ma credo che il punto sia chiaro.
EDIT: l'articolo e' qui (per ora)
Domenica, appena arrivato da LAX, sono andato subito a cena con il Circo Italiano (Parents e i loro amici). Siamo stati al Cafe' della Presse--un ristorante francese nel centro di San Francisco. A me piace molto, ma non e' la migliore scelta quando sei con un gruppo di 9 persone dei quali solo una sparuta minoranza (cit. Lotito) parla Inglese. Se mai vi capita un date a San Francisco (e siete nella posizione di scegliere) Cafe' della Presse e' un buon posto.
Ad ogni modo, ieri sera, prima di addormentarmi, ho letto nel New Yorker che, a partire dagli anni '90, ci sono stati scandali in sequenza circa l'Olio Extra Vergine d'Oliva. Il problema, stando all'articolo, e' che molti dei produttori principali (quelli che poi vendono l'olio alle grandi marche) immettono nella miscela del proprio olio, olii di qualita' inferiore. Addirittura, viene citato un produttore secondo il quale il 90% dell'olio che viene venduto come Extra-Vergine d'Oliva in realta' non e' tale.
Ora, io mi chiedo, perche' ci interessa non essere fregati? Ragioni di salute, in primis. E' possibile che l'olio adulterato sia dannoso, e questo e' un problema. Ma supponiamo, in astratto, che sia dimostrato che olio puro ed olio adulterato in certi modi hanno il medesimo effetto sulla salute. A cosa serve il sistema di etichette di olii, vini, formaggi etc.? Serve, io credo, per compiere certe inferenze induttive: per esempio,
Olio X ed Olio Y sono entrambi extra-vergini. Quindi dovrebbero essere (con una certa approssimazione) di simile qualita'.
Questa funzione viene assolta ugualmente anche se i controlli della qualita' dell'olio non raggiungono gli standard di qualita' ufficiali. Se lo standard ufficiale dell'olio extra-vergine e' 8/10 (supponiamo che vi sia una scala lineare), e i controlli riescono soltanto a testare che l'olio ha qualita' almeno 6/10, questo significa che *in pratica* l'etichetta "Olio Extra-Vergine" significa: almeno 6/10. L'etichetta continua ad essere utile, perche' presumibilmente l'Olio Vergine ha qualita' ufficiale 5/10, ma viene testato solo fino a 3/10.
Se necessario, i produttori che producono a 8/10 possono accordarsi su un sistema di controllo privatamente eseguito che garantisca quella qualita' a un maggior prezzo.
Ok. mi sono stancato di scrivere, ma credo che il punto sia chiaro.
EDIT: l'articolo e' qui (per ora)
Friday, August 24, 2007
Vogue Living Australia
Vogue Living Australia e' la rivista dell'anno. Vogue Living e' una versione di Vogue che e' dedicata non all'abbigliamento ma al design e all'arredamento. Me lo comprerei anche solo per "guardare le figure" (come si faceva prima di imparare a leggere), ma in realta' gli articoli sono molto interessanti.
Nel numero scorso c'era un tizio di Melbourne (un personal trainer da palestra, no less) che ha comprato un appartamento minuscolo nel centro di Melbourne e lo ha arredato completamente con mobili francesi del settecento. Magnifico.
Nel nuovo numero, che ho appena comprato, persino la copertina e' un assemblamento di colori molto attraente.
Ad ogni modo, nel vecchio numero ho imparato una cosa che voglio condividere: apparentemente il vaso bianco per dei fiori e' un errore. In particolare, un errore visivo. Il problema e' che il bianco e' il colore che maggiormente attira l'occhio--in questo caso distogliendolo dal fiore. L'ideale per un mazzo "monocromo" di fiori e' un vaso del medesimo colore!
Nel numero scorso c'era un tizio di Melbourne (un personal trainer da palestra, no less) che ha comprato un appartamento minuscolo nel centro di Melbourne e lo ha arredato completamente con mobili francesi del settecento. Magnifico.
Nel nuovo numero, che ho appena comprato, persino la copertina e' un assemblamento di colori molto attraente.
Ad ogni modo, nel vecchio numero ho imparato una cosa che voglio condividere: apparentemente il vaso bianco per dei fiori e' un errore. In particolare, un errore visivo. Il problema e' che il bianco e' il colore che maggiormente attira l'occhio--in questo caso distogliendolo dal fiore. L'ideale per un mazzo "monocromo" di fiori e' un vaso del medesimo colore!
Monday, July 30, 2007
La lampadina
Alcuni di voi hanno gia' sentito questa storia, ma vale la pena consegnarla alla mia memoria estesa.
Circa una settimana fa, mentre rifacevo il letto ho colpito la lampadina con il lenzuolo. Fulminata.
Dato che il mio compagno di casa (Weng Hong) e' molto previdente, possediamo delle lampadine "di ricambio". Decido di sistemare tutto subito, al buio. Comincio a svitare la lampadina bruciata, ma non ne vuole sapere di uscire. Svito, svito... lampadina spezzata. Mi trovo in mano la parte di vetro, e il resto rimane attaccato al soffitto.
Vabbe'. Decido di sfilarlo con un cacciavite (fra parentesi: avevo dimenticato se l'interruttore fosse acceso oppure no. la scelta del cacciavite e' perche' ho una memoria d'infanzia che il cacciavite e' isolante, e l'"essere isolante" dovrebbe evitarmi la scossa---ma chissa' se tutto questo e' vero.). Ci riesco. Nel mentre, un piccolo pezzo di plastica cade a terra. Non me ne curo, anche perche' sono al buio. Per qualche ragione, mi convinco che le difficolta' dipendono dalla presenza di ruggine nella zona dove la lampadina si avvita.
Prendo la lampadina di ricambio e comincio ad avvitare--'sta ruggine e' proprio una scocciatura. Ad un certo punto si rompe *tutto*. Cadono pezzetti di plastica, si rompe la lampadina di ricambio, un disastro completo.
L'informazione che finora ho nascosto per darvi un'idea della mia prospettiva e' che le lampadine in Australia (o almeno in casa mia) non si avvitano. Invece, hanno un perno che va infilato nell'apposito buco, e solo allora una semi-rotazione garantisce la fissazione al soffitto. In questo modo ho rotto tutto il congegno.
Quel che e' peggio e' che in una settimana di ricerche non sono riuscito a trovare un maledetto ferramenta a Canberra. Ovviamente lampadine se ne trovano a bizzeffe, ma il "coso" che le tiene su no.
Per concludere su una nota differente, penso che dopo il 23 Agosto, e soprattutto dopo il mio ritorno a Oakland, mi prendero' due settimane di completa vacanza mentale.
Circa una settimana fa, mentre rifacevo il letto ho colpito la lampadina con il lenzuolo. Fulminata.
Dato che il mio compagno di casa (Weng Hong) e' molto previdente, possediamo delle lampadine "di ricambio". Decido di sistemare tutto subito, al buio. Comincio a svitare la lampadina bruciata, ma non ne vuole sapere di uscire. Svito, svito... lampadina spezzata. Mi trovo in mano la parte di vetro, e il resto rimane attaccato al soffitto.
Vabbe'. Decido di sfilarlo con un cacciavite (fra parentesi: avevo dimenticato se l'interruttore fosse acceso oppure no. la scelta del cacciavite e' perche' ho una memoria d'infanzia che il cacciavite e' isolante, e l'"essere isolante" dovrebbe evitarmi la scossa---ma chissa' se tutto questo e' vero.). Ci riesco. Nel mentre, un piccolo pezzo di plastica cade a terra. Non me ne curo, anche perche' sono al buio. Per qualche ragione, mi convinco che le difficolta' dipendono dalla presenza di ruggine nella zona dove la lampadina si avvita.
Prendo la lampadina di ricambio e comincio ad avvitare--'sta ruggine e' proprio una scocciatura. Ad un certo punto si rompe *tutto*. Cadono pezzetti di plastica, si rompe la lampadina di ricambio, un disastro completo.
L'informazione che finora ho nascosto per darvi un'idea della mia prospettiva e' che le lampadine in Australia (o almeno in casa mia) non si avvitano. Invece, hanno un perno che va infilato nell'apposito buco, e solo allora una semi-rotazione garantisce la fissazione al soffitto. In questo modo ho rotto tutto il congegno.
Quel che e' peggio e' che in una settimana di ricerche non sono riuscito a trovare un maledetto ferramenta a Canberra. Ovviamente lampadine se ne trovano a bizzeffe, ma il "coso" che le tiene su no.
Per concludere su una nota differente, penso che dopo il 23 Agosto, e soprattutto dopo il mio ritorno a Oakland, mi prendero' due settimane di completa vacanza mentale.
Wednesday, July 25, 2007
B.Y.O.
Una delle cose fenomenali dell'Australia e' la diffusione del B.Y.O. Cos'e' il B.Y.O.? L'acronimo e' "Bring Your Own (Booze)", ovvero "Porta le Tue (Bevande Alcooliche)". In altre parole, e' una politica secondo la quale i clienti possono portare il proprio alcool.
In america, ci si riferisce alla politica del B.Y.O.B. solo per vietarla. Alcuni ristoranti hanno un cartello "No B.Y.O.B.", magari vicino al cartello che esclude il servizio per chi va scalzo.
In Australia, invece e' diffusissima---almeno nei ristoranti nella fascia sotto ai 40/50$ a persona (<25/30 euro circa).
Non solo: molti di questi ristoranti non *vendono* alcool, quindi a meno che uno non se lo porti, gli tocca acqua o coca cola...
ovviamente la presenza di questi posti ha un'altra ripercussione. in Australia esiste un tipo di servizio che non ho visto da nessun'altra parte del mondo.
Il bottle shop .
Il bottle shop e' un negozio di alcool che pero' funziona come un "drive in". Senza scendere dalla macchina chiedi direttamente al commesso e lui ti passa la bottiglia per la serata...
In america, ci si riferisce alla politica del B.Y.O.B. solo per vietarla. Alcuni ristoranti hanno un cartello "No B.Y.O.B.", magari vicino al cartello che esclude il servizio per chi va scalzo.
In Australia, invece e' diffusissima---almeno nei ristoranti nella fascia sotto ai 40/50$ a persona (<25/30 euro circa).
Non solo: molti di questi ristoranti non *vendono* alcool, quindi a meno che uno non se lo porti, gli tocca acqua o coca cola...
ovviamente la presenza di questi posti ha un'altra ripercussione. in Australia esiste un tipo di servizio che non ho visto da nessun'altra parte del mondo.
Il bottle shop .
Il bottle shop e' un negozio di alcool che pero' funziona come un "drive in". Senza scendere dalla macchina chiedi direttamente al commesso e lui ti passa la bottiglia per la serata...
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